Erboristeria Milardo

Boldo

Introduzione

Il Boldo (Peumus boldus Molina) rappresenta una pianta medicinale il cui uso, profondamente radicato nella medicina tradizionale, è stato di recente oggetto di notevole attenzione dal punto di vista farmacologico. Almeno due fattori hanno contribuito al rinato interesse per questa specie: l’accumulo di un’ampia base di conoscenze fitochimiche sui suoi componenti alcaloidei (isolamento, identificazione e quantificazione) e la diffusa percezione culturale come pianta medicinale efficace per il trattamento di disturbi digestivi ed epatobiliari.

Etimologicamente, la parola Peumus deriva da “peumo”, un nome presumibilmente derivato dalla lingua degli indigeni Mapuche del Cile utilizzato per indicare la pianta. Il nome della specie “boldus” sembra rendere omaggio ad un botanico spagnolo. Secondo altre fonti, “boldo” o “boldu” è derivato dai verbi Mapuche “welttin” (spuntare di nuovo) o “volitun” (nuove radici), che può riferirsi alla caratteristica della pianta di mettere germogli anche se il tronco dell’albero viene tagliato o di mettere radici dopo l’abbattimento: caratteristiche che lo rendono appropriato a colonizzare terreni che hanno subìto processi di desertificazione. Il Boldo ha sviluppato meccanismi fisiologici che gli consentono di tollerare la siccità, le alte temperature e la forte irradiazione solare. 1, 2

 

 

Descrizione botanica

Endemico del Cile, il boldo cresce in un clima mediterraneo, si trova soprattutto nelle colline secche e soleggiate delle province di Valparaiso, Santiago e Concepción. Fu acclimatato in Europa alla fine del XIX secolo nelle zone aride del bacino del Mediterraneo (specialmente Italia e Nord Africa), così come nel Nord America (California).

Fa parte alla famiglia delle Monimiaceae, dicotiledoni, appartenenti all’ordine Laurales che comprende anche le seguenti famiglie: Amborellaceae, Trimeniaceae, Gomortegaceae, Calycanthaceae, Idiospermaceae, Lauraceae ed Hernandiaceae. Possiede 41 generi (incluso il genere Peumus) e 450 specie. Il genere è quasi pantropicale ma si noti l’assenza di questa famiglia in India e la sua scarsa rappresentanza in Africa. Si tratta di alberi, arbusti o viti persistenti in cui si verifica, per la maggior parte, produzione oli essenziali. È un arbusto dioico perenne alto fino a 8 metri, folto, sempre verde, con rami sottili e sparsi, spesso appiattiti ai nodi. Ha una corteccia sottile e marrone che si stacca dal tronco. I giovani ramoscelli sono leggermente pubescenti. Le foglie sono opposte, semplici, intere, ovali, a margine dentato o intero e con una lamina coriacea, generalmente leggermente arricciate verso l’interno; la parte superiore è ghiandolare e verde scuro, la parte inferiore verde chiaro. Il picciolo è leggermente pubescente. L’infiorescenza può essere ascellare (racemi) o terminale (raramente un fiore solitario). I fiori sono piccoli, attinomorfi, bi o unisessuali il più delle volte e hanno un ricettacolo generalmente molto sviluppato; sono uniti (da 5 a 12) in un grappolo di cime ascellari e terminali, sono pallidi, giallastri o bianchi. I fiori maschili, che misurano da 2 a 3 centimetri di diametro, hanno la forma di campane con numerosi stami disposti a spirale; includono un perianzio formato da 10 a 12 lobuli (tepaloidi o petaloidi) ondulati o attorcigliati; i filamenti corti possono essere nettificanti alla base e le antere erette e con deiscenza longitudinale o valvolare. Il perianzio di solito non è molto visibile. I fiori femminili, più piccoli, con lobi disuguali, sono costituiti da un perianzio che circonda un pistillo con molti carpelli (fino a oltre 2.000) uniovulati, sessili e liberi o inseriti nel ricettacolo. Il frutto, di dimensioni e forma variabili, è una drupa verde giallastra separate o un achenio pennuto, incluso nel ricettacolo carnoso e persistente, oppure esposti da molte modalità di scissione. I semi hanno un endosperma oleoso, un albume abbondante e cotiledoni arrotondati. Il boldo può essere confuso con Cryptocarya peumus (Molina) Nees (famiglia delle Lauraceae) perché ha un odore e una distribuzione geografica simili.3

 

Storia e Usi tradizionali

I reperti archeologici, caratterizzati da impronte di molari umani, mostrano che le foglie furono masticate, per scopi sconosciuti, da alcuni dei primi abitanti del Sud America 14.600 anni fa e la sua corteccia fumata apparentemente in un contesto rituale 1000-1500 anni fa. 2

Juan Ignacio Molina è il botanico e naturalista cileno che due secoli fa per la prima volta descrisse il boldo, le cui testimonianze giungono direttamente dal suo testo: “i paesani… impiegano la scorza del frutto… per profumare le botti prima di mettervi il vino… per la concia delle pelli…per la tintura di color tanè (marrone chiaro)”.4 Dato che il boldo cresce in abbondanza in Cile, questo paese è stato per decenni l’unica fonte di foglie e corteccia, attualmente esporta circa 800 tonnellate di foglie essiccate all’anno principalmente in Argentina, Brasile, Italia, Francia e Germania; è probabilmente uno dei più pregiati prodotti forestali non legnosi del Cile centrale che attualmente attirano un reddito, grazie all’esportazione, di circa cinque milioni di dollari all’anno. 1

L’indicazione farmacologica più antica non sembra far riferimento al noto trattamento dei disturbi epatici, giacché sembrerebbe che i Mapuche usarono il boldo per la prima volta nel trattamento dei reumatismi; non si ha la certezza se i primi americani che abitarono quella regione hanno usato le foglie come medicina o semplicemente per il loro gusto piacevole e rinfrescante.

Tuttavia, risale ai tempi precolombiani l’utilizzo delle foglie da parte dei Mapuche contro malattie del fegato e calcoli renali e da parte degli araucanici come tonico. L’infuso delle foglie (circa 3 grammi) viene utilizzato come stimolante dell’attività del fegato, vermifugo, digestivo, sedativo, disturbi biliari come i calcoli, nonché per svariati tipi di malattie gastrointestinali, costipazione, emicrania, alterate condizioni epatiche, calcoli renali e delle vie urinarie; ma anche per combattere l’insonnia e stimolare l’appetito. Inoltre, viene utilizzato come digestivo prendendo un infuso dopo i pasti. Le foglie fresche tritate trovavano impiego in impiastri per curare lussazioni, contusioni e piaghe; fare il bagno in un decotto saturo di foglie di boldo contrastava reumatismi, idropisia e affezioni della pelle. L’olio essenziale invece era raccomandato per alleviare disturbi gastrointestinali, dolori a fegato e cistifellea; questo olio preveniva anche la formazione di calcoli biliari ed era utilizzato come lassativo, vermifugo, contro l’insonnia e i reumatismi, per contrastare alcune malattie della pelle e per guarire il dolore all’orecchio. 5

 

Variabilità del profilo alcaloideo

Il profilo alcaloideo di Peumus boldus è altamente variabile; una testimonianza si trova nei problemi relativi al sesso degli alberi e all’età delle foglie, i quali sono stati affrontati in uno studio analizzando le foglie “nuove” (verde chiaro, morbide) e “vecchie” (verde scuro, coriacee) di venticinque alberi maschi e venticinque alberi femmine. Le differenze sessuali sono evidenti nelle foglie nuove degli alberi maschi che sono significativamente più ricche di boldina, laurotetanina e N-metillaurotetanina rispetto a quelle degli alberi femmine. Le foglie più vecchie hanno concentrazioni più elevate della maggior parte degli alcaloidi ad eccezione dell’isocoridine, senza alcuna differenza tra i sessi. Inoltre, le foglie raccolte dagli alberi coltivati sono più ricche ​​di alcaloidi delle foglie selvatiche. In quest’ultimo caso, le foglie giovani e tenere contengono concentrazioni di alcaloidi significativamente più basse rispetto alle foglie mature e coriacee e la raccolta regolare sembra favorire la produzione di alcaloidi. Tutte le parti del boldo contengono alcaloidi e il legno ha una concentrazione maggiore rispetto alle foglie. Pertanto, dovrebbe essere utilizzato, oltre a foglie e corteccia, anche il legno, un materiale che non è attualmente in commercio. Queste differenze potrebbero essere coinvolte nell’asimmetria che talvolta si verifica tra gli usi tradizionali, dove il boldo era selvatico, e quelli moderni, che prevedono l’utilizzo principalmente del boldo coltivato.

(Fuentes)

Considerando la boldina sarebbe interessante prendere in considerazione anche la corteccia in quanto, secondo uno studio, contiene maggior quantità di boldina. 6 Laurolitsina e boldina sono stati trovati nel tronco e nel legno della radice, dove sono più abbondanti di altri alcaloidi. È stata isolata anche la deidroboldina dalla corteccia: nonostante questo composto fosse stato registrato come alcaloide della corteccia nel 1984, secondo uno studio si è probabilmente formato dall’ossidazione della boldina dovuta all’aria e non è un vero metabolita di P. boldus. 1

 

Composizione ed usi medicinali

L’uso della droga al di fuori del Cile è limitato al trattamento di dispepsia e lievi spasmi digestivi. Un vecchio ma importante studio randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, in cui 60 pazienti con dispepsia non ulcerosa sono stati trattati con placebo o con una formula a base di erbe, avvalora tale tesi: non solo la secrezione biliare, misurata con una sonda duodenale, aumenta in modo significativo ma vi è anche un notevole miglioramento dei sintomi (gonfiore, nausea e bruciore di stomaco). La formula conteneva estratti di Cynara (50%), Peumus boldus (30%) e Chelidonium majus (20%). 7 Le spiccate proprietà epatoprotettive, coleretiche, colagoghe e lievemente sedative protratte nel tempo hanno condotto all’inclusione della droga nella Farmacopea europea (Boldi folium) e alla loro recente valutazione dall’Agenzia europea per i medicinali (EMA). Mentre mancano studi clinici, l’uso tradizionale delle infusioni di foglie di boldo come aiuto alla digestione sembra giustificato.

Gli usi medicinali tradizionali sono estremamente ampi e altrettanto privi di fondamento. Secondo i testi antichi il boldo è stato usato per mal di testa, mal d’orecchi, congestione nasale, reumatismi, “debolezza nervosa”, idropisia, dispepsia, flatulenza, dolore mestruale, sifilide e gonorrea; sembra anche essere un sedativo e lieve ipnotico. I preparati a base di boldo sono stati descritti in numerosi testi farmacognostici ufficiali tra cui la Farmacopea francese (8a e 9a edizione), la Extra Farmacopea Martindale (25a edizione) e le farmacopee ufficiali di Brasile, Cile, Germania, Portogallo, Romania, Spagna e Svizzera.

La scoperta delle sostanze attive contenute nelle foglie risale al 1872 quando Bourgoin e Verne isolarono l’alcaloide che denominarono boldina, ad azione lievemente ipnotica. Più tardi Chapoteaut accerta che l’alcaloide boldina è contenuto nelle foglie del boldo in piccole quantità. 8

Mentre molti studi attribuiscono gli effetti benefici del boldo alla boldina, considerato ancora oggi il suo alcaloide più importante, il notevole contenuto di polifenoli, in particolare catechina e composti correlati, oltre a concentrazioni di altri alcaloidi fenolici, cumarine e tannini suggeriscono un’interpretazione più complessa. Alcuni anni dopo le prime scoperte, nel 1968, sono state identificate reticolina, isoboldina, laurotetanina, laurolitsina e isocoridina. Recentemente invece sono stati scoperti altri alcaloidi come la N-metilcoclaurina e la norglaucina. 9-11

A tal proposito, è interessante notare che l’attività antinfiammatoria documentata della boldina è potenziata dalla co-somministrazione con la reticolina presente nelle foglie del boldo; 12 non è da meno la presenza di N-metillaurotetanina (di cui è ricca anche Eschscholzia californica) il quale, essendo agonista del recettore 5-HT1A, potrebbe essere correlato al presunto effetto “sedativo” delle infusioni delle foglie evidenziato negli usi tradizionali. 13

L’effetto lassativo è stato testato sui ratti dopo somministrazione orale per 8 settimane di un estratto idroalcolico di foglie di boldo; esso può essere dovuto a un incremento dell’escrezione di sali biliari che modificano la motilità del colon. 14

Sono stati osservati effetti antiinfiammatori e antipiretici attribuiti a una inibizione della sintesi delle prostaglandine, 15 inibizione dell’aggregazione piastrinica ed effetti sul sistema cardiovascolare (vasodilatazione ed effetto miorilassante). 16

Un recente studio evidenzia la vasta gamma di attività farmacologiche delle foglie del boldo. L’estratto acquoso, conclude lo studio, presenta un importante effetto protettivo contro la tossicità indotta da manganese; si evince dai dati quanto l’estratto sembra avere un profilo fitochimico che opera in sinergia a proteggere dalla tossicità indotta dal manganese. 17 Può essere una potenziale alternativa terapeutica anche per la modulazione della tossicità associata a rame. 18

Un altro recente studio indaga sull’attività coleretica della boldina, valutata peraltro l’ultima volta da Lanhers et al. nel 1991 (sui ratti). 19 Questo rivela che la boldina aumenta nell’immediato la produzione di bile attraverso l’attività osmotica diretta, ma deve essere somministrata in dosi sufficienti per raggiungere concentrazioni nella bile di 10 μM o superiori. Lo studio conclude infatti che l’azione della boldina è a breve termine data la breve emivita ed è indipendente dai meccanismi di flusso biliare dipendente/indipendente dall’acido biliare. Al contrario, un pretrattamento a lungo termine può indurre una coleresi lieve e sostenuta. 20 Tale attività potrebbe derivare anche da una sinergia tra gli alcaloidi e i flavonoidi. 14

Il buon profilo di sicurezza è vantaggioso per tali requisiti ad alte dosi. Per quanto riguarda la tisana invece in caso di colestasi o calcolosi è necessaria molta cautela, soprattutto in ragione del fatto che i microcalcoli potrebbe scatenare coliche anche importanti. 21

Inoltre, il boldo potrebbe aumentare l’effetto anticoagulante a causa di composti cumarinici con il rischio di sanguinamento. 22

 

L’olio essenziale delle foglie: un nuovo insetticida ecocompatibile?

La composizione dell’olio essenziale è dominata dai monoterpeni (50 composti identificati per il 93,8% circa), con idrocarburi (51,4%) prevalenti sui composti contenenti ossigeno (42,4%). All’interno di questi gruppi i componenti principali sono 1,8-cineolo (20,7%), p-cimene (18,5%), limonene (9,1%), ascaridolo e β-phellandrene (6,4%). Altri monoterpeni presenti in quantità apprezzabili sono α-pinene (4,9%), terpinen-4-olo (3,1%), α-terpineolo (2,9%), sabinene (2,4%) e α-terpinene (2,0%). La frazione sesquiterpenica è piuttosto scarsa.

Nel loro insieme, secondo i risultati di un recentissimo studio, i costituenti dell’olio essenziale delle foglie potrebbero essere considerati eccellenti per il controllo dei parassiti nonché prodotti relativamente sicuri a causa del basso contenuto di ascaridolo che è tossico per i vertebrati. Presenta quindi un potenziale utilizzo per lo sviluppo di insetticidi, sono necessari tuttavia ulteriori studi in modo da far luce sul meccanismo d’azione. Inoltre, la sicurezza nei confronti di altri organismi benefici deve ancora essere chiarita in condizioni reali, così da accertarne l’ecocompatibilità. Peraltro, potrebbe beneficiare di una certa scalabilità a livello industriale che può essere assicurata dall’enorme biomassa presente sul pianeta. 23

 

Rivista: L’Erborista

Mese: Novembre 2019

A firma: Fabio Milardo

 

Bibliografia

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