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Ovaio policistico: storia e rimedi. Cosa può fare la fitoterapia?

La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS, dall’inglese Polycystic Ovary Syndrome) è un disordine endocrino molto comune caratterizzato da ciclo mestruale irregolare o assente, iperandrogenismo e ovaio policistico; colpisce il 5-10% delle donne in età fertile.
Le cause sono sconosciute ma alcuni fattori, in particolare quello genetico, sembrano essere rilevanti: in effetti, è una patologia che gode di un’elevata familiarità.
 
La storia
“Quelle donne che per natura hanno una purgazione mestruale per più di quattro giorni e hanno un flusso abbondantissimo, diventano magre e i loro feti sono magri e sono indeboliti. Le donne che hanno una purgazione mestruale per meno di tre giorni o hanno un flusso scarso, sono robuste e hanno un bel colorito e sono mascoline, ma non sono feconde né concepiscono”; così scriveva Ippocrate nel suo trattato ginecologico “Malattia delle donne”.
Mentre vi è poco nei papiri egiziani, analisi su antiche cartelle cliniche forniscono importanti informazioni sulla sindrome dell’ovaio policistico; si tratta, in effetti, di una patologia molto antica che ha persistito nella donna per millenni.
Altri dati storici si accatastano fino a provare che la patologia era evidentemente molto comune: Sorano di Efeso, medico greco vissuto nella prima metà del II secolo, scrive quanto segue in un trattato sulle malattie femminile: ” … a volte è anche naturale che le donne non hanno le mestruazioni … è naturale anche in donne i cui corpi sono di aspetto maschile … si osserva che la maggior parte di coloro che non hanno le mestruazioni sono piuttosto robuste, sterili e con aspetto mascolino”.
Anche nel Medioevo, la patologia sembra significativamente avere la medesima inflessione: il medico medievale Mosè Maimonide, erede del grande Avicenna nel XII secolo, di fatto afferma che “ … ci sono donne la cui pelle è secca e dura, e la cui natura ricorda la natura di un uomo. Tuttavia, se la natura di ogni donna tende a trasformarsi alla natura di un uomo, questo non è dovuto ai farmaci, ma dovuto a un’attività mestruale alterata”.
Questo richiama quanto osservato ulteriormente da un medico ancor più recente, Ambroise Pare (1510-1590),  “Molte donne, degenerano in … donne virili; pertanto, la loro voce è maschile e compare la barba”.
Concomitanze di segni e sintomi risultano perciò evidenti e vengono a caratterizzare quella che oggi chiamiamo “sindrome dell’ovaio policistico”: irregolarità mestruale, habitus maschile, sub-infertilità e possibile obesità.
Giungendo al secolo XX, nel 1935 si notò con Stein e Leventhal un’associazione tra la presenza bilaterale di ovaie policistiche e l’irsutismo, l’amenorrea, l’oligomenorrea e l’obesità; mentre nel 1964 si scoprì pure che con la riduzione della massa ovarica si otteneva un miglioramento del quadro clinico (24, 25, 26).
Alcuni studi volti a valutare la globalità della PCOS tra le diverse popolazione e le diverse razze segnano un dato importante: considerato che gli esseri umani migrarono dall’Africa 50.000 anni fa, il genotipo che caratterizza la patologia pare sia sorto addirittura precedentemente rispetto all’inizio della diversificazione razziale.
 
Il paradosso del miglioramento genetico
Il potenziale riproduttivo è un elemento fondamentale per qualunque specie che voglia continuare ad esistere. Questa patologia colpisce le donne in età fertile e nonostante dia origine alla sub fertilità, il genotipo è presente in un’ampia percentuale della popolazione femminile ancora oggi: la sindrome si è conservata nel corso dell’evoluzione umana e non è stata cancellata dai meccanismi della selezione naturale.
Quando c’è carenza di cibo o una notevole restrizione calorica l’ovaio diventa ipofunzionale, per cui il tratto genetico della PCOS si è preservato in un’alta percentuale della popolazione umana sia per il fatto che le carestie hanno da sempre accompagnato la storia del genere umano, sia perché in tempi di carestia chi si riproduceva erano appunto le donne con ovaio policistico.
Le donne affette da PCOS  sono “programmate” per generare figli in periodi di carestia: l’ipotesi, sempre più condivisa dai ricercatori, è che le donne con ovaio policistico abbiano una precisa funzione nella preservazione della specie umana; dunque, paradossalmente, proprio una patologia come la sindrome dell’ovaio policistico costituisce un miglioramento genetico per la sopravvivenza della specie umana (27).
Probabilmente la sub fertilità potrebbe aver creato un vantaggio nell’accudire i figli che, essendo pochi, godevano di una maggiore quantità di cibo disponibile nonché di protezione. Oltre a questo, la dedizione ai figli non veniva minacciata da una gravidanza, le complicazioni della quale e soprattutto quelle relative al parto costituivano peraltro una delle maggiori cause di mortalità nell’antichità. Ciò suggerisce che l’aver meno figli ha ridotto l’incidenza di mortalità delle donne e agevolato la sopravvivenza della famiglia.
Un altro vantaggio è dato dalla maggiore massa muscolare e dalla densità minerale ossea causata da tale sindrome, il che ha permesso un migliore adattamento alle esigenze di un’elevata attività e resistenza fisica, così come all’irregolare e spesso bassa disponibilità di nutrienti per il cacciatore-raccoglitore.
 
La sindrome oggi
Dal neolitico ad oggi il cibo è stato di fatto quasi sempre sufficiente e disponibile, motivo per cui la sindrome avrebbe dovuto venire a costituire una negativa radice da debellare nel corso degli ultimi 10.000 anni, in linea con la rapida evoluzione osservata in altri tratti.
Questa ipotesi, tuttavia, presuppone che lo svantaggio riproduttivo della sindrome dell’ovaio policistico sia assoluto, mentre di fatto tali svantaggi risultano meno gravi oggi rispetto a quelli passati.
Al contrario di quanto si usa pensare, la situazione non si è notevolmente esacerbata con l’obesità e con l’industrializzazione alimentare, bensì solo minimamente influenzata nel momento in cui risulta uniformemente presente in paesi con differenti tassi di obesità. Questo stesso studio ha analizzato la massa corporea media di oltre 700 donne affette dalla sindrome, determinata in un intervallo di 15 anni: essa è aumentata linearmente e insieme alla crescente obesità della popolazione circostante (16). Questi dati suggeriscono che l’apporto calorico eccessivo e il sovrappeso giocano un ruolo limitato nello sviluppo della sindrome dell’ovaio policistico: nello specifico, il sovrappeso può aggravare la malattia nella misura in cui comporta dei possibili disturbi metabolici subordinati, come ad esempio l’iperinsulinemia che sembra aumentare la produzione di androgeni causando acne, aumento del peso, irsutismo.
I sintomi della PCOS consistono in disturbi nella follicologenesi ovarica e dell’anovulazione cronica, dei segni clinici di iperandrogenismo, della sindrome metabolica, dell’ansia o della depressione, dell’infertilità e del dolore pelvico.
Oggi la fitoterapia gode della presenza di piante efficaci e sicure per trattare la patologia e ridurne i sintomi. La terapia farmacologica convenzionale è limitata dalla preponderanza di controindicazioni, dalla sua scarsa o addirittura tendenziale inefficacia in determinate circostanze, dagli effetti collaterali e da un altro elemento molto importante: le donne affette da questa patologia preferiscono un’alternativa alla terapia convenzionale.
 
Le piante medicinali
L’agnocasto (Vitex agnus-castus) è stato utilizzato da migliaia di anni per numerosi problemi di salute delle donne tra cui i disturbi mestruali. Diversi studi clinici e preclinici dimostrano che questa pianta regolarizza il ciclo mestruale e ricerche più recenti forniscono prove riguardante la riduzione dei livelli di prolattina, il miglioramento della fertilità e la proprietà di causare il ciclo mestruale normalizzandolo, riducendo inoltre la produzione di progesterone nell’organismo.
Il rilascio di prolattina dalla ghiandola pituitaria nel cervello è inibito dalla dopamina; l’agnocasto contiene una varietà di composti tra cui i flavonoidi penduletina e apigenina, un insieme di diterpeni chiamati clerodiadenoli i quali, aventi effetti dopaminergici, si legano ai recettori D2 della dopamina nel cervello riducendo di conseguenza la secrezione di prolattina.
Uno studio su 40 donne con iperprolattinemia di Kilicdag et al. dimostra che in tre mesi di trattamento con agnocasto o bromocriptina vi è una significativa riduzione della prolattina e non vi è differenza significativa di tale riduzione tra i due gruppi.
Altri studi ancora evidenziano come i risultati clinici abbiano dimostrato che gli effetti fisiologici sono di fatto coerenti con i risultati degli studi di laboratorio e sugli animali; tuttavia, sono da segnalare e prendere in considerazione le carenze metodologiche da un lato e l’utilizzo di campioni di piccole dimensioni dall’altro.
Secondo due studi di laboratorio la Cimicifuga racemosa riduce l’LH: il meccanismo è rappresentato dall’inibizione competitiva degli estrogeni, per cui il legame selettivo degli estrogeni ai recettori α sull’ipotalamo e l’ipofisi riduce la secrezione di LH (28, 29). Un altro studio ottiene però risultati contrari per la riduzione di LH (30): si tratta di uno studio che ha esaminato soltanto un flavonoide isolato e alla fine l’articolo suggerisce che altri componenti dell’estratto potrebbero essere farmacologicamente attivi.
Tre trials clinici randomizzati confermano gli effetti positivi della cimicifuga per la fertilità in donne con sindrome dell’ovaio policistico, assunto da solo o con clomifene (22, 31, 32). I risultati degli studi, effettuati su 441 donne, mostrano di aver migliorato l’incidenza della gravidanza quando l’estratto di cimicifuga si aggiungeva al clomifene. I risultati degli studi clinici concordano con gli studi di laboratorio e sugli animali; tuttavia, riguardo la validità dei dati raccolti è doveroso tener conto della mancanza di cecità.
Un’altra pianta importante e molto comune è la liquirizia (glycyrrhyza glabra) e altre specie simili come Glycyrrhiza uralensis. Essa viene utilizzata per molte patologie in quanto molto studiata e già ampiamente adoperata prima nella medicina tradizionale e poi anche in quella moderna. Oggi sappiamo dell’effetto che ha questa pianta nella riduzione degli androgeni sia in donne sane, sia in quelle affette da PCOS. Si tratta di un meccanismo, questo, probabilmente dovuto anche all’inibizione competitiva degli estrogeni per i siti recettoriali.
Due studi clinici hanno analizzato gli effetti antiandrogeni della liquirizia (8, 21). Uno di questi ha documentato la riduzione del testosterone in 9 donne sane di età compresa tra 22 e 26 anni che seguivano un trattamento consistente in 3,5 grammi al giorno di liquirizia (contenente il 7,6% di acido glicirrizico): la riduzione del testosterone verificata era del 37% circa dopo due mesi di trattamento. L’altro studio ha invece esaminato gli effetti di Glycyrrhiza glabra in 32 donne con sindrome dell’ovaio policistico: 3,5 g al giorno di estratto di liquirizia è stato aggiunto al trattamento farmacologico (Spirinolactone 100 mg al giorno) per due cicli mestruali. Lo studio conclude che la liquirizia potrebbe essere considerata una terapia adiuvante per l’irsutismo e per la sindrome dell’ovaio policistico. Entrambi gli studi clinici sono però effettuati con campioni di piccole dimensioni.
I risultati sono stati complicati dalla variazione nei processi di estrazione e nella successiva variabilità del profilo fitochimico: gli studi di laboratorio sono basati su estratti acquosi a partire dal materiale grezzo, mentre quelli clinici sono basati su estratti etanolici. Eppure, nonostante tale variabilità metodologica, entrambe le tipologie di studi hanno dimostrato ad ogni modo effetti anti-androgeni.
Secondo due ricerche (5, 6), anche l’infuso di menta (Mentha x piperita o Mentha spicata) ha proprietà antiandrogeniche; è da precisare, tuttavia, che lo studio più importante ha purtroppo una durata molto breve. Comunque sia, entrambi gli studi concordano e concludono con un possibile utilizzo della menta nel trattamento dell’irsutismo.
La cannella (Cinnamomum cassia) è un’altra pianta che potrebbe essere molto utile in questa patologia soprattutto quando è presenza la resistenza all’insulina: quest’ultima, secondo un recente studio pubblicato dalla autorevole “Plos One”, peggiora il quadro clinico aumentando lo stress ossidativo. L’ingestione di 3 g di cannella riduce i livelli di insulina sierica postprandiale e aumenta la concentrazione di GLP-1 (un peptide simile al glucagone che rallenta lo svuotamento gastrico, aumenta la secrezione di insulina e induce sazietà attraverso l’azione ipotalamica insieme alla ghrelina, alla leptina ed altre sostanze endogene) senza alterare in modo significativo la glicemia. È probabile che dosi più elevate di cannella influenzino la velocità di svuotamento gastrico e le concentrazioni postprandiali di glucosio nel sangue.
Come dimostra un recentissimo studio del 2014, la cannella regolarizza anche il ciclo mestruale. 45 pazienti di età compresa tra i 18 ei 38 anni con PCOS ed evidenze cliniche o biochimiche di iperandrogenismo o evidenza ecografica di ovaie policistiche sono stati inseriti random nel gruppo placebo (22) e nel gruppo della terapia (23). Il trattamento consisteva in 4 capsule di un prodotto a base di cannella assunte 3 volte al giorno (125 mg ciascuna per un totale di 1500 mg al giorno) per 6 mesi. Nonostante la piccola dimensione del campione al termine dello studio l’integrazione di cannella per 6 mesi ha avuto un effetto significativo sulla frequenza del ciclo mestruale.
 
Lo stress
Nella considerazione di tale patologia sono ansia o stress a costituire infine un aspetto di notevole importanza che però viene spesso sottovalutato. In risposta a questo le ghiandole surrenali rilasciano cortisolo inducendo un aumento di prolattina e di androgeni, il che a sua volta conduce ad un’irregolarità mestruale. È dunque razionale valutare il livello di stress e in tal caso utilizzare piante come Rhodiola rosea, Panax ginseng, P. quinquefolium e Withania somnifera per attenuarne gli effetti.
 
Autore: Fabio Milardo
L’Erborista – n. 8– ottobre 2016
Bibliografia disponibile a richiesta.