Erboristeria Milardo

menta

Menta: tra storia, varietà ed usi medicinali.

Introduzione

La leggenda vuole che Minthe, ninfa greca da cui il nome del genere Mentha, fosse l’amante di Plutone, il dio greco degli Inferi: una volta scoperta la vicenda dalla moglie, susseguì l’uccisione di Minthe in un impeto di rabbia e gelosia. Dinanzi a tale tragedia, Plutone la fece tornare in vita, nel suo ricordo, come una pianta profumata: la specie piperita, il cui nome significa “piccante” e va a distinguersi da altre varietà di menta.

Descrizione botanica

La menta appartiene alla famiglia delle Lamiaceae (o Labiate), rappresentata da circa 3000 specie diffuse in tutte le parti del mondo, in particolare nella regione mediterranea. La più grande tribù riconosciuta nelle Lamiaceae in termini di specie e generi è la tribù Mentheae, notevolmente diversificata in termini di distribuzione, forma e colore floreale; la grandezza del fiore varia da pochi millimetri (Lepechinia dioica) a diversi centimetri (Salvia patene).

Curiosa è la transizione, all’interno della tribù, del numero di stami da quattro a due: ancora non ci sono studi che danno un giudizio definitivo, ma l’ipotesi più accreditata è correlata allo sviluppo evolutivo, dovuto al miglioramento nel processo di impollinazione che esso comporterebbe; come, ad esempio, nei due stami presenti nel genere Salvia, i quali potenziano la propria efficienza con un meccanismo a leva altamente complesso: l’insetto si poggia sul labbro inferiore  della corolla, aziona una leva che sposta le antere verso la sua schiena cospargendo il polline.

I suoi stami sono stati costruiti come una leva che viene azionata direttamente dall’insetto quando si posa sul labbro inferiore della corolla perche’ il suo peso provoca lo spostamento in avanti delle antere che lo colpiscono cospargendolo di polline.

Lamiaceae viene dal greco “laimos” e dal latino “lamium”, che vuol dire gola, faringe, in riferimento alla forma della corolla. Questa famiglia comprende sia forme erbacee sia altre camefitiche – persino nanofanerofite.

La Mentha piperita è una pianta erbacea perenne, ramificata, con rizoma stolonifero e scapi eretti caratterizzati da un fusto quadrangolare, determinato dalla presenza di fasci di collenchima posti agli angoli che sono rosso violacei o verdi. Le foglie sono opposte e prive di stipole, brevemente picciolate, ovate-oblunghe, acute all’apice e arrotondate alla base, irregolarmente seghettate al margine, caratterizzate dalla presenza di peli e di ghiandole contenenti gli oli essenziali che ne distinguono il peculiare aroma.

I fiori sono riuniti in spicastri terminali costituiti da fascetti sovrapposti di fiori, hanno un calice persistente, corolla quasi regolare e lembo imbutiforme, campanulato, a quattro lobi quasi uguali, di color violetto o biancastro; il calice è gamosepalo ed ha 5 sepali, mentre la corolla è attinomorfa formata da un tubo sormontato da 4 denti subeguali tra loro. Allo stato spontaneo le Labiate, maggior parte delle quali preferisce ambienti aperti e soleggiati, hanno una notevole importanza; esse sono diffuse nella regione mediterranea ed usate tradizionalmente come piante aromatiche. Essendo un ibrido sterile, la pianta non ha un frutto e si propaga per via vegetativa; il principale mezzo di diffusione e dispersione della specie è il rizoma vigoroso.

Storia tassonomica

Linneo (1767) ha descritto le specie del genere Mentha sulla base della morfologia dell’infiorescenza. Successivamente, ne vennero prese in considerazione le diverse caratteristiche, volte ad esaminare le varietà delle specie: morfologiche, citologiche e chimiche. Si tratta di una tassonomia con innumerevoli nomi di specie pubblicati nel corso degli anni.

Tra le varie specie, il genere Mentha ne include 5 individuate sulla base del numero di cromosomi e delle caratteristiche morfologiche, tutte eurasiatiche e africane: M. arvensis L., M. aquatica L., M. spicata L., M. longifolia (L.) L. e M. suaveolens Ehrh. Queste, a loro volta, danno vita a 11 ibridi molti dei quali generati da autoimpollinazione, con un’elevata variabilità morfologica.

La differenza tra le specie e le varietà nel genere Mentha è dunque basata non tanto su una caratteristica quanto su combinazioni di caratteristiche, le più importanti di queste ultime essendo: il tipo di infiorescenza, la dentatura del margine della foglia, la densità dei peli, il tipo di peli ghiandolari, la sostanza più abbondante che compone l’olio essenziale; in breve, i taxa potrebbero essere definiti dalla combinazione di caratteristiche anatomiche, morfometriche e fitochimiche.

Si tratta di un approccio secondo cui, in uno studio svolto nel 2009, si è potuto distinguere non solo le specie, ma anche sottospecie e varietà; e questo nonostante il fatto che la sistematica del genere Mentha sia complicata a causa della notevole ibridizzazione intraspecifica16. Intuì già questa mutabilità Castore Durante, medico e botanico rinascimentale, che nel suo “Herbario nuovo” scriveva: “Mancando il seme si può impir l’orto di menta, pigliando le cime tenere del mentastro e con le cime all’ingiù trapiantarlo; che produrrà la menta.” Questo attesta l’elevata ibridazione della menta dato che a coltivare il mentastro, selvatico, si produce la menta.

Avendo un elevato polimorfismo morfologico e una grande diversità nella composizione dell’olio essenziale, il numero di specie del genere Mentha L. è stato oggetto di speculazione per molti anni.  M.  piperita e M. spicata L. risultano essere gli ibridi più conosciuti e più utilizzati e coltivati per la produzione dell’olio essenziale; l’o.e.  di M. piperita viene spesso adulterato con la M. arvensis, più economica. La Mentha piperita risulta da un incrocio tra M. aquatica e M. spicata; mentre M. spicata è l’ibrido tra M. suaveolens e M. longifolia.

Le popolazioni ibride che possono sorgere sono molto complesse e, se subfertili, possono incrociarsi con specie sia parentali sia non parentali. Gran parte della tassonomia nel genere Mentha è probabilmente resa più intricata anche dalla poliploidia e dalla moltiplicazione vegetativa. L’ibridizzazione frequente è dovuta presumibilmente anche a un alto livello di esogamia, assicurato dalla ginodioicità. Mentre l’endogamia aumenta l’omogeneità genetica e limita la capacità di adattamento e il potenziale evolutivo, l’esogamia, comune nel genere Mentha, aumenta l’eterogeneità genetica e l’adattamento dando vita a generi differenti. L’alto livello di esogamia è peraltro assicurato dalla caratteristica presenza di fiori ermafroditi e fiori femminili in piante diverse, fenomeno rilevato e designato da Darwin riferendosi alle specie che hanno tale popolazione con il termine “ginodioiche”.

Usi tradizionali e popolari

Molto curioso è il racconto di Castore Durante secondo il quale in tempi di guerra era proibito mangiare la menta in quanto, come conferma lo stesso Aristotele, afrodisiaca: “Mentam ne comedas nec plantes tempore belli” (non mangiate né piantate la menta in tempi di guerra). Alessandro Magno infatti ne proibì l’uso ai suoi soldati poiché stimolava pensieri erotici riducendo il desiderio di combattere.

Questa pianta è stata tradizionalmente utilizzata per la prevenzione della formazione gas intestinali; per alleviare spasmi e altre complicanze dell’apparato gastroenterico come la diarrea; per curare il raffreddore, l’influenza, la tosse (in quanto agevola la respirazione), l’isteria e alcuni disturbi nervosi; così come per aiutare ad alleviare il mal di testa.

Castore Durante la adoperava come corroborante per lo stomaco, per alcuni problemi al fegato e alla milza e nelle gengiviti, facendo infatti lavare la bocca con l’acqua di menta. Oltre a questo, il decotto era utilizzato per i dolori colici, in una preparazione che trova impiego ancora oggi tra gli erboristi tradizionali.

Composizione e farmacologia

Le foglie contengono principalmente acido caffeico, acido cinnamico, acido rosmarinico e flavonoidi (flavoni e flavanoni). Eriocitrina e acido rosmarinico sono stati i componenti più abbondanti individuati all’interno delle foglie, mentre la naringenina-7-O-glucoside è stato il componente meno abbondante tra quelli identificati.

Gli effetti analgesici che i rimedi tradizionali vantano sono sostenuti dalla ricerca scientifica moderna. A tal proposito i risultati di uno studio del 2012 ne attestano l’uso tradizionale in quanto antidolorifico; la Mentha piperita, secondo questo studio, ha un potenziale effetto analgesico mediato sia dal SNC sia dal Sistema Nervoso Periferico. Studi di Moreno et al. hanno dimostrato che l’estratto metanolico di Mentha ha effetti analgesici soltanto periferici, mentre altri studi di Atta e Abo sulla nocicezione ne hanno confermato sia gli effetti analgesici centrali sia quelli periferici15. È da evidenziare che in tali studi vengono adoperati perlopiù 3 specie di menta: la M. piperita, la M.longifolia e la M. microphylla.

In uno studio più recente del 2014 è stato valutato l’estratto acquoso delle foglie di menta per bollitura di un’ora e mezza. L’estratto composto principalmente da polisaccaridi ha mostrato un’attività antitumorale in vitro alquanto apprezzabile.

Successo indiscusso ha l’o.e. di menta nella terapia del colon irritabile, in particolar modo per le sue proprietà antispastiche (blocca  gli spasmi della muscolatura liscia intestinale), provate ulteriormente da letteratura scientifica recente. L’olio essenziale di M. piperita e il mentolo agiscono come antagonisti dei canali del calcio sia in vitro sia in vivo.

L’olio essenziale di menta piperita viene estratto dalla pianta per distillazione delle foglie e dei fiori freschi o parzialmente essiccati; esso si presenta come una miscela complessa di terpeni che può variare in base alle condizioni di crescita, al momento del raccolto e al metodo di distillazione. L’l-mentolo ne è il componente principale, pari al 35-50% del composto, assieme a più di altri 90 componenti minori. I risultati di uno studio recentissimo hanno dimostrato che una nuova formulazione, ideata per il rilascio controllato nell’intestino tenue, è stata associata ad un rapido miglioramento sintomatico nei pazienti con Sindrome del colon irritabile senza stipsi, a notevoli riduzioni della frequenza e dell’intensità dei sintomi. Il range di dosaggio terapeutico nella maggior parte degli studi sulla sindrome del colon irritabile varia da 0,2 e 0,4 ml assunto tre volte al giorno in capsule gastroprotette.

L’olio essenziale mostra anche un’elevata attività antifungina e un altrettanto considerevole potere antimicrobico tuttavia, quest’ultimo, molto variabile; da quanto si può attestare, esso si è mostrato efficace su E.coli, S. Aureus, Pseudomonas aeruginosa, S. Faecalis e Klebsiella pneumonie.

L’olio essenziale di Menta piperita ha azione carminativa per il fatto che sembra impedire la formazione di gas nel tubo digerente o ne facilita il passaggio. La menta è anche stata adoperata tradizionalmente per il trattamento dei calcoli biliari perché probabilmente aumenta la produzione di bile, come risulta altrettanto probabile che l’azione coleretica sia dovuta all’effetto antispastico del mentolo e di altri terpeni ad attività simile sullo sfintere di oddi. Per uso topico l’olio essenziale di menta viene aggiunto a unguenti e creme per ridurre il dolore e nelle articolazioni per il suo effetto rinfrescante.

Dati recenti hanno ampliato il concetto di infiammazione in quanto componente critica di progressione del tumore, essendo che molti dei tumori derivano da siti di infezione, irritazione e infiammazione cronica. Sta ora diventando chiaro che il microambiente tumorale, ampiamente orchestrato da cellule infiammatorie, è un elemento indispensabile nel processo neoplastico perché favorisce la proliferazione, la sopravvivenza e la migrazione delle cellule tumorali.17Da uno studio in cui sono stati individuati 51 costituenti volatili dell’o.e. di M. piperita e sono state valutate le sue proprietà antinfiammatorie, citotossiche e antiossidanti, si è verificata una potente attività antinfiammatoria in vitro; esso potrebbe essere attivo anche contro alcune linee di cellule di cancro.9

Tossicità, interazioni ed effetti collaterali.

L’o.e. di menta può essere causa di dermatite da contatto, bruciore alla bocca, ulcerazioni ricorrenti o reazioni licheniformi al cavo orale.
Altri tipi di esposizione come l’uso di spray antisettici, anestetici locali e dolciumi sono responsabili di chelite cronica, dermatite da contatto periorale, ulcerazioni al cavo orale e bruciore alla bocca osservate in pazienti con patch test positivo all’olio di menta.
È stata anche riportata una granulomatosi orofacciale del labbro inferiore in un individuo allergico sia all’olio di menta sia al mentolo. Oltre a questo l’o.e ha anche dimostrato un effetto rilassante dello sfintere esofageo inferiore, il che può risultare deleterio in presenza di reflusso gastroesofageo.

Prospettive future

L’olio essenziale di M. piperita è il più adulterato tra le mente: a causa della forte domanda e dei vincoli climatici, sta diventando comune nelle colture di M. piperita la doppia raccolta (due volte a stagione), il che può diminuire la qualità dell’olio prodotto. A livello mondiale, dai dati della FAO emerge una crescita complessiva della produzione di menta che denota una miglior efficienza nei processi produttivi. Nel sud Italia, dove la durata del periodo vegetativo è maggiore, la presenza dell’irrigazione permette di aumentare la produzione di massa verde; inoltre, grazie alle temperature più elevate si abbassano i costi dell’essiccazione. Tali fattori potrebbero dunque fare del sud Italia un rilevante punto di riferimento per la coltivazione della menta, verso una fervida continuazione nello studio e uso di questa pianta.

Autore: Fabio Milardo

Rivista: l’Erborista.

Riferimenti.

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