Erboristeria Milardo

Calendula

Introduzione

“Ad calenda graekas” (alle calende greche) è una locuzione latina il cui significato rammenta qualcosa che non arriverà mai, che si rimanda a data non ben definita. Tale espressione deriva dall’assenza delle calende (primo giorno di ogni mese) nel calendario greco diversamente da quello romano, in cui figura come data fondamentale poiché era il momento in cui i creditori sollecitavano il pagamento dei debiti.

Dunque dire “alle calende greche” equivale a sostenere un’assurdità, un tempo inesistente, ed è probabilmente riferito alla fioritura della calendula che si protrae per parecchi mesi. Da un occhio poco esperto la calendula può essere confusa sia con la cicoria sia con il tarassaco, con i quali condivide l’eliotropismo.

 

Descrizione botanica e classificazione

La monografia del dott. Domenico Lanza è probabilmente la più dettagliata sul genere1. Egli, come Pignatti nella sua “Flora d’Italia”, Edmond Boissier, George Rouy (autore della monumentale “Flora de France”), definisce il genere “difficile” da un punto di vista sistematico e tassonomico. Anche Stefano Sommier scrive “le calendule sfuggono ad una esatta nomenclatura, perché i caratteri adoperati per distinguere le specie (lunghezza e colore delle linguette, colore dei fiori del disco, forma degli acheni) si associano nei modi più diversi”.

Di origine mediterranea, il genere Calendula contiene circa 20 specie denominate, soltanto C. officinalis viene utilizzato per i suoi benefici medicinali e culinari.

La Calendula è una pianta erbacea annuale o biennale (raramente) con fusto ramificato (30-40 cm), carnoso, angoloso, vellutato, eretto e robusto, a corologia steno-mediterranea. E, oltre a questo, è rustica (sopporta il freddo, si adatta a terreni scadenti, resiste all’attacco di insetti) e pubescente; ha una radice a fittone con molte radichette laterali, è ricoperta da peli scabri e ghiandole.

Le foglie, oblunghe o lanceolate, sono sessili, alterne, dentate, di colore verde-grigiastre: le inferiori, di forma spatolata e oblunga lunghe 2 cm circa, sono provviste di una base ristretta a cuneo, le superiori sono amplessicaluli con forma obovata. Il margine dentato è caratterizzo dalla presenza di una ghiandola nera quasi invisibile all’apice dei denti (idatodi). Queste strutture di secrezione, come le ghiandole saline, espellono acqua e sali minerali, ma sintetizzano anche prodotti organici importanti per le relazioni sia tra pianta e ambiente sia tra pianta e animali. Uno studio di Corsi et al2 sul genere Urtica ha evidenziato che gli idatodi possono avere interesse sistematico, per cui una attenta valutazione al riguardo non può che essere vantaggiosa.

Le infiorescenze a capolino di forma emisferica grandi 3-5 cm di diametro sono circondate da brattee coperte da peli solitari, terminali e ghiandolosi. Ogni capolino è composto da 35 a 400 fiori femminili, ligulati alla periferia (petali) e posizionati in una densa corona generalmente disposta in due serie (una sopra l’altra), e da fiori tubulosi maschili centrali ordinati in un disco piano. I petali dei fiori ligulati assumono tonalità graduali dal giallo zolfo al giallo scuro, all’arancione. I sistemi di impollinazione, attivati anche sperimentalmente, portano a considerare l’autoimpollinazione e l’autogamia come norma. I fiori femminili maturano poco prima di quelli maschili per cui gli stimmi sono già pronti alla cattura del polline quando questo fuoriesce dalle antere. In teoria gli insetti, in particolare i ditteri, potrebbero trasferire ad altri capolini della stessa pianta o di piante prossime il polline, ma ciò di fatto avviene raramente: la norma è l’autoimpollinazione. Questa, specialmente nelle forme annuali, avviene mentre il capolino è ancora chiuso: si può parlare dunque di cleistogamia. Per ottenere ibridi tra specie diverse è infatti necessario asportare i fiori maschili molto presto, al fine di impedire l’autogamia e poter efficacemente, con un pennellino, provvedere all’impollinazione incrociata.

La cipsela rappresenta il frutto, dall’anatomia estremamente diversificata: ha esterni alati a tre larghe ali e spinosi sul dorso; gli interni sono anulari ricurvi ad anello senza ali né spinule dorsali. Sono in realtà molti i fattori che rendono difficile lo studio di questo genere di Asteraceae. Alcune piante della stessa specie si comportano da annue o talvolta da perenni o perennanti a seconda delle condizioni climatico-ambientali; i semi di una stessa pianta germinano in tempi differenti, perché compresi in frutti di forma e dimensione distinte (questo fenomeno prende il nome di eterocarpia, un fenomeno che spicca nel genere Calendula e nella famiglia delle Asteracee). Sono quattro le tipologie fondamentali di frutto che usualmente servono per identificare le specie: cimbiforme, rostrato, alato, anulare. Spesso questi tipi sono presenti simultaneamente e variano persino sullo stesso capolino. Ciò è stato messo in relazione con i possibili vari sistemi di disseminazione, anche a distanza, affidati ad animali, al vento o all’acqua: tuttavia non sono mai state prodotte prove consistenti al riguardo.

Già Lanza, dopo meticolose osservazioni, scrive: “il significato biologico delle diverse forme di frutti nelle Calendule è tutt’ora oscuro e la disseminazione sembra essere circoscritta alla vicinanza delle piante madri”. È caratterizzata da un’antesi prolungata che può andare da Febbraio a Dicembre.

 

Endemismo

L’endemismo rappresenta la parte peculiare della flora di un determinato distretto geografico, e costituisce un fenomeno complesso in relazione alla speciazione e al differenziamento della popolazione delle piante. L’isolamento di una specie permette uno sviluppo tranquillo e non influenzato da flore e da faune più recenti: non a caso molte specie endemiche si accentrano sulle rupi, sulle isole, sulle scogliere marine e in generale nei suoli ruiniformi dove non arriva il dente dell’erbivoro e l’accetta o il fuoco dell’uomo, in modo tale da costruire la propria barriera geografica. Basti ricordare il disastro e la conseguente rarefazione a cui è andata incontro la flora dell’isola di sant’Elena (ricca di 5 generi e di circa il 50% di specie endemiche) dopo l’introduzione delle capre, del diboscamento, e così via. Anche la scarsa tolleranza a uno o più fattori ambientali rappresenta una condizione per cui la pianta è limitata nella sua naturale diffusione e il suo areale è confinato. La giovinezza di una popolazione, conseguenza di una mutazione genica, cromosomica o genomica, o di un recente isolamento per deriva genetica o geografica, può esprimere un areale minore di quello potenziale e il taxon può qualificarsi come endemico. L’endemismo, per un determinato taxon, può anche essere l’anticamera dell’estinzione: si tratta di una riduzione di areale pregresso più esteso, in seguito alla scomparsa di condizioni idonee alla sopravvivenza dell’entità considerata; evento che può essere sia naturale sia di natura antropica. Le forme annuali, riferibili al gruppo di C. arvensis, variabilissime e spesso considerate a livello specifico, sono poliploidi. A C. arvensis sono da assegnare anche i campioni con varianti di colore dei capolini, già descritti come C. bicolorda C. Rafinesque per la Sicilia, anche se Lanza sostiene che tali piante siano da considerarsi specie distinta sulla base di strutture carpologiche e organografiche. Il fenomeno ibridogeno potrebbe pure spiegare la genesi di C. officinalis L., tetraploidea, la quale ha frutti simili a quelli di C. meuselii Ohle (una delle possibili progenitrici ancestrali nordafricane) e a quelli di popolazioni meridionali della Penisola iberica di C. incana Willd, gruppo al quale viene riferita anche C. maritima Guss, finora presunto endemita siciliano. Va invece evidenziato che la distribuzione di C. maritima comprende anche la Sardegna, dove Arrigoni3 la segnala in tre luoghi e sottolinea che si tratta endemismo sardo-siculo.

 

Composizione ed usi medicinali

Un’annotazione manoscritta, tratta dall’editio princeps dei Discorsi di Mattioli cita: ”Caltha è di natura stittica e costrettiva, provoca i mestrui la polvere de la pianta seccha, messa sopra i denti, che dogliono, vi conferisce assai”. Nel secondo volume, con il nome di Calendola che sostituisce il vecchio nome Caltha (genere delle Ranunculaceae), è ritratta un’altra cultivar con molti capolini periferici. La pianta conosciuta come Calendula officinalis contiene resine amare, saponine, oli volatili e mucillagini. Adoperata come emmenagogo, diaforetico e vulnerario in varie preparazioni, è tutt’ora studiata in fitoterapia per la presenza di diversi flavonoidi ad attività emollienti e cicatrizzanti.

Storicamente, la calendula è stata conosciuta come “lo zafferano povero dell’uomo” in quanto è stato usato per colorare e insaporire gli alimenti, in particolare il burro, il formaggio, la crema pasticcera, il pane, i biscotti, le zuppe e i piatti di riso; è stata anche utilizzata per adulterare lo zafferano. I petali di calendula vengono aggiunti anche alle insalate e usato come colorante per tessuti e capelli. Attualmente, il pigmento della calendula arancione brillante viene utilizzato nell’industria farmaceutica per dare un colore piacevole ad alcuni preparati medicinali.

Gli erboristi britannici John Gerard (1545-1612), Nicholas Culpepper (1616-1654), ma anche Maud Grieve (1858-1941) citano la calendula come rimedio topico: applicando i petali alle punture degli insetti si riduce sia il dolore sia il gonfiore. Grieve ne raccomanda l’uso, sotto forma di crema a base di fiori, per distorsioni e ferite; l’idrolato è invece utile negli occhi irritati e infiammati. Mentre i fiori sono la parte più utilizzata in medicina, l’erborista rivela che il succo delle foglie rimuoverebbe persino le verruche e che mangiare le foglie crude nell’insalata sia utile nel trattamento dello scrofula infantile, una degenerazione tubercolare delle ghiandole linfatiche.

Nella medicina popolare europea gli infusi dei petali sono utilizzati per indurre il flusso mestruale, per produrre il sudore durante la febbre e per curare l’ittero. Nell’America del diciannovesimo secolo i medici eclettici usavano internamente la calendula per trattare i problemi del fegato, le ulcere dello stomaco, ed esternamente per la congiuntivite e in ustioni, contusioni e ferite.

I fiori di Calendula dimostrano sia attività astringenti (tradizionalmente, il fiore è anche stato adoperato esternamente come antisettico e per aiutare a smettere di sanguinare) sia antinfiammatorie (utilizzati per infiammazioni della pelle e delle mucose, come la faringite, le piaghe da decubito, gengiviti ed eruzioni cutanee)4.

Alcuni di questi preparati sono tutt’ora utilizzati e confermati da ricerche importanti.

La Commissione E ha approvato l’uso del fiore di calendula per uso interno e topico nel trattamento dell’infiammazione delle mucose della bocca e della gola, ed esternamente per le ferite e le ulcere; ha inoltre evidenziato proprietà diaforetiche che aumentano persino la secrezione bronchiale.

I principali costituenti della calendula sono triterpenoidi e flavonoidi con almeno otto monoesteri triterpendioli bioattivi identificati negli estratti di fiori di calendula essiccati. L’effetto antiinfiammatorio pare sia dovuto principalmente ai triterpenoidi, ma la calendula mostra anche effetti protettivi nei confronti del fegato5, probabilmente per la presenza di carvacrolo il quale agisce sia da promotore della rigenerazione epatica sia da inibitore del livello di TNF-α e di IL-6 in uno studio su ratti6.

Inoltre, la calendula può offrire cardioprotezione che comporta la modulazione delle vie antiossidanti e antinfiammatorie mediante l’attivazione di Akt (una serina/treonina protein-chinasi), Bcl2 (una proteina che regola l’apoptosi) e una regolazione del TNF-α. Tale è questo effetto che, come rivela uno studio, la somministrazione di Calendula può fornire protezione contro il danno cellulare indotto da fumo di sigaretta subacuto7.

Usi popolari vantano proprietà curative dell’olio essenziale nel trattamento delle infezioni vaginali: lo conferma un recentissimo studio, dove una crema vaginale di Calendula sembra essere stata efficace nel trattamento della candidosi vaginale con un effetto ritardato ma maggiore a lungo termine rispetto al clotrimazolo8. Quest’ultimo potrebbe anche avere un’attività di protezione solare: pare che tale effetto sia associato a un miglioramento della sintesi di collagene nel tessuto connettivo sub-epidermico9.

L’applicazione di una crema contenente olio essenziale di calendula ha infatti prevenuto alterazioni indotte dalla UV-B nella pelle in un modello murino10.

Una recente ricerca conclude che l’applicazione topica di C. officinalis dopo una lesione del tendine d’achille aumenta le concentrazioni di proteine ​​collagene e non collagene, nonché l’organizzazione del collagene nella fase iniziale di guarigione12.

Le proprietà ipoglicemiche, inibitorie dello svuotamento gastrico e gastroprotettive sembrano essere dovute invece alle saponine.

Dati preliminari supportano l’uso topico della calendula per la profilassi della dermatite acuta durante la radioterapia: in un recente studio la calendula ha mostrato una migliore risposta terapeutica rispetto agli acidi grassi essenziali nella prevenzione e nel trattamento della radiodermite13. Ulteriori studi hanno dimostrato che un collutorio omeopatico a base di calendula è utile per ridurre la stomatite indotta da chemioterapia16 e per ridurre la placca dentale e la gengivite associata al ridimensionamento17.

Due recenti studi rivelano l’efficacia della calendula nel trattamento del piede diabetico14 e delle ulcere venose15. L’applicazione topica di una crema a base di calendula pare sia sicura ed efficace nei neonati per il trattamento della dermatite da pannolino18, anche se uno shampoo a base di Bentonite sembra avere effetti più rapidi19. Sono necessarie ricerche più ampie per confermare queste osservazioni.

La Calendula ha una bassa tossicità; noto è l’effetto allergizzante senza però un reale riscontro scientifico importante. Infatti, solo raramente sono state riportate reazioni allergiche, le quali sono probabilmente dovute ai lattoni sesquiterpenici oppure alle cumarine. In uno studio australiano di 443 pazienti con sospetto di reazioni di ipersensibilità di tipo ritardato, solo nove pazienti hanno avuto una particolare sensibilità a un estratto di calendula21. Gli allergeni della calendula sono tutt’ora sconosciuti; nei fiori è stata segnalata la presenza di acidi fenolici e fenilpropanoidi sospetti come acido vanillico, acido cinnamico, acido ferulico, acido caffeico e una varietà di esteri mono-caffeil e di-caffeil dell’acido chininico22, i quali potrebbero essere coinvolti nelle reazioni allergiche insieme ad altre sostanze ancora poco note.

Rivista: L’Erborista

Mese: marzo 2018

A firma: Fabio Milardo

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