Introduzione
L’uomo, nella sua fragilità, continua di tempo in tempo a trovare un supporto nella flora che abita il pianeta: il cappero fa parte di queste piante, ma ancor prima di sostenere noi ha rinforzato da sempre il fragile ecosistema a cui appartiene. Il sostentamento di tale equilibrio è dovuto alla radice che, essendo molto grande, si insinua nelle rocce e nel terreno riuscendo a ridurre l’erosione lungo i pendii rocciosi e le dune di sabbia che caratterizzano gli ecosistemi aridi e semi-aridi.
Rivista: L’Erborista
Periodo: Giugno 2016
A firma: Fabio Milardo
Descrizione
Del genere Capparis esistono circa 250 specie distribuite nelle regioni tropicali e subtropicali; la più importante sia dal punto di vista culinario che medicinale è Capparis spinosa. Il termine “Capparis” sembra venire dall’arabo “kabar” o “kabur” che vuol dire espandersi (dal bocciolo del fiore che si espande), o dal greco Kypros (dall’isola di Cipro in cui la pianta ha un’estesa diffusione); in Tunisia si chiama “kabbar” o “quibbar”, in Sicilia invece “Chiàppara”; inoltre, al nome “cappero” si riferisce il bocciolo non ancora fiorito, il quale si può raccogliere da maggio ad ottobre. La pianta del cappero fa parte della famiglia delle Capparaceae comprendente circa 40-50 generi a cui appartengono dalle 700 alle 900 specie arboree, arbustive ed erbacee. Tale famiglia sembrava appartenere alle Brassicaceae, ma studi molecolari di Hall et al. hanno dimostrato diversamente. È una pianta stenoidrica che presenta numerosi fusti lignificati e flessuosi, glabri, che portano foglie alterne, intere, ovali, arrotondate e picciolate a margine lineare, con due stipole spinose alla base del picciolo, caduche o persistenti: da qui il nome della specie “spinosa”. Persino Mattioli ne “I Discorsi ne i sei libri della materia medicinale di P. Dioscoride” descrive il cappero come “pianta spinosa”. Le foglie, amfistomatiche e omobariche, con un mesofillo molto sviluppato e una bassa percentuale di spazi intercellulari, hanno una particolare struttura che permette alla pianta di fiorire con l’arrivo del caldo: le proprietà strutturali, caratterizzate dallo sviluppo sincronizzato della superficie del mesofillo e dei cloroplasti con un adeguato approvvigionamento di acqua, permettono di completare il ciclo biologico durante la siccità. I fiori, solitari, sono esteticamente eccentrici, con 4 petali bianco rosati e si trovano alle ascelle delle foglie superiori; caratteristico è il profilo dell’ovario, il quale si trova sopra un lungo ginoforo che distanzia androceo e gineceo. Ha un’ampia distribuzione ed è presente infatti con sottospecie e varietà locali in habitat molto diversi che vanno dalla regione mediterranea all’Oceania; a causare il sovrapporsi dei caratteri morfologici è l’elevata variabilità fenotipica, da cui scaturisce una difficile descrizione e distinzione morfologica, rendendo così complessa l’attribuzione ad una categoria tassonomica. In Sicilia C. spinosa si presenta con due taxa riconosciute nella “European Flora” (1991): la subsp. spinosa e la subsp. rupestris. La subsp. spinosa var. canescens è diffusa su terreni argillosi, nei terreni marcatamente xerofili della Sicilia meridionale e centrale; mentre la subsp. rupestris è presente principalmente lungo la costa calcarea e le rocce vulcaniche, così come nelle isole vicine (Pantelleria, Ustica, Eolie, Pelagie e Isole Egadi).
Composizione
La composizione chimica del cappero e dei frutti è influenzata dal genotipo, dalla data di raccolta e dalle condizioni ambientali. I capperi sono un’ottima fonte di vitamina K, C ed A, ed anche di calcio, composti solforati, magnesio, fosforo, ferro, zinco e manganese. Chiaramente la conservazione sotto sale influenza la composizione, per cui proteine, fibre, minerali e vitamine tendono a diminuire. Capperi e frutti sono anche ricchi di acidi grassi insaturi (oleico, linoleico e linolenico sono i principali). I costituenti comprendono: saccaridi e glicosidi, isotiocianati, glucosinolati simili a quelli delle Brassicaceae (glucocapparina la più abbondante, soprattutto nei capperi provenienti da Salina), flavonoidi (rutina principalmente, ma anche campferolo-3-O-rutinoside, isoramnetina-3-O-rutinoside e quercetina), alcaloidi (spermidina, capparispina, capparisina, stachidrina e codonocarpina), terpenoidi e oli essenziali, acidi grassi, steroidi, carotenoidi e acido clorogenico. Nel complesso gli alcaloidi totali sono quasi il doppio nell’estratto idroalcolico rispetto alla decozione; la stachidrina nella corteccia è quasi doppia rispetto alla radice intera.
Un estratto idroetanolico delle foglie è stato caratterizzato analizzando il contenuto di antiossidanti come polifenoli, flavonoidi e antiocianine. La quantità di flavonoidi e antocianine è alta ed è elevato il potere antiossidante in analisi chimiche e soprattutto in quelle biologiche.
Storia
Wadi Kubbaniya, ad est della valle del Nilo, è sede di un’incomparabile testimonianza consegnata alla storia; in questo sito archeologico egiziano sono stati rinvenuti dei resti sia del cappero sia del frutto, i quali ne testimoniano lo scopo alimentare già 18.000 anni fa. Ciò è ulteriormente confermato da altri ritrovamenti: resti di semi di cappero sono stati scoperti in differenti siti archeologici datati 8000-9000 a.C.; ritrovamenti in Iran e Iraq (nelle vicinanze del Tigre) risalgono all’incirca al 6000 a.C.; in Siria, dentro un vaso dell’età del bronzo, sono stati ritrovati carbonizzati capperi e frutti acerbi in salamoia.
Usi tradizionali
Questi ritrovamenti dimostrano quanto il cappero fosse presente nella quotidianità, eppure ci sono altri ritrovamenti, quelli bibliografici, che dimostrano come era usato a scopo medicinale: questa pianta ha tantissimi utilizzi ed essi hanno superato i secoli caratterizzandosi sempre maggiormente attraverso miglioramenti dati dalle esperienze degli erboristi che decidevano di adoperarla.
Dobbiamo quindi concedere alla storia la sua innegabile valenza scientifica: tutto ciò che Galeno, Dioscoride, Plinio e altri hanno scritto (sul cappero) è arrivato fino ad oggi con l’intenzione di continuare ad essere migliorato e utilizzato per malattie che da sempre questa pianta, talvolta sola talvolta insieme ad altre, è stata in grado di guarire. È chiaramente da interpretare tutta la medicina antica: è importante addentrarsi nel pensiero di chi scrive per poterne capire le dinamiche e contestualizzare il periodo storico al pari della cultura medica di ogni tempo attraversato dalla pianta.
I rimedi relativi al cappero sono stati utilizzati da secoli e sono perciò stati ripetuti tantissime volte per centinaia di anni: questo non è già da considerare quale prova della loro affidabilità? Si tratta di dati che in parte non sono provati da esperimenti che seguono i moderni criteri scientifici; molti di essi comunque necessiterebbero di una lunga introduzione riguardo la concezione della medicina antica.
Dioscoride utilizza il decotto del frutto del cappero sia per i dolori alla sciatica sia per provocare le mestruazioni. Egli attribuisce al cappero determinate qualità che ne rendono le proprietà marcatamente efficaci nel “purgare gli umori grossi e viscosi in tutto il corpo” e nel “tirare la flemma alla testa”, in modo tale da essere utile agli ”spasimati”, l’equivalente odierno dei depressi. Il decotto del seme invece veniva utilizzato per sciacquare la bocca nei dolori ai denti, oppure si masticava direttamente la corteccia della radice o la si faceva bollire nel vino o nell’aceto. Questa, essiccata, si può impiegare come sostituto di tutte le parti della pianta utilizzate e inoltre veniva adoperata nelle ulcere mediante un impiastro con farina d’orzo. Era addirittura impiegata contro le vitiligini bianche, tritata e unta con aceto. Il succo delle radici era utilizzato invece per espellere i vermi dalle orecchie. È considerata anche una pianta con proprietà digestive.
Galeno in particolare utilizzava il cappero per recuperare l’appetito perduto, e attribuiva proprietà medicamentose specialmente alla corteccia delle radici che usava come diuretico, tonico, astringente e antispasmodico.
Plinio il vecchio adoperava invece pari peso di capperi con presame della lepre per curare le piaghe infistolite. Usava la radice poi per curare le vitiligini bianche (“morfea”) e, cotta con l’aceto, per le vesciche della bocca.
Ancora oggi il cappero gode di un discreto uso medicinale: infatti in Sicilia si utilizzano le foglie macinate applicate nelle ulcere e il decotto della radice per i reumatismi; in Iran e Iraq il decotto della corteccia della radice (la “Capparis Cortex Radicis” della vecchia farmacopea persiana), dal sapore pungente e amaro, è utilizzato nei pazienti con febbre irregolare e nei reumatismi con notevole efficacia; le radici vengono utilizzate sia come antireumatico sia per il mal di denti in Spagna. Nella medicina araba viene utilizzato per migliorare la fertilità nelle donne. Viene inoltre impiegato nella ritenzione urinaria, nella gotta, nella flatulenza e nelle emorroidi (un cucchiaio di radice in polvere dopo i pasti), per il suo effetto aperitivo, tonico e astringente; anche come vermifugo, espettorante, analgesico in generale, emmenagogo, per disintossicare il fegato e la milza.
In effetti, secondo l’antica medicina mediterranea il cappero è uno dei maggiori rimedi per tonificare la milza, per cui si adoperava la corteccia delle radici o i boccioli per curarne le affezioni: quindi in determinati casi di anemia, depressione, osteoporosi e in tutti quei casi che vedono un’affezione divenire cronica.
La medicina moderna
Ormai da quasi trent’anni lo studio delle piante ha cambiato sia interpretazione che direzione: i metaboliti secondari prodotti dalla pianta sono al centro dei numerosi studi che hanno rivelato la presenza di molecole con una notevole validità biologica. Questi nuovi composti isolati dal fitocomplesso cui appartengono possono rivelarsi utili in patologie anche gravi e nella sintesi di farmaci; hanno in effetti mostrato importanti proprietà immunomodulanti e immunostimolanti, antiossidanti, antitumorali, antinfiammatorie, spasmolitiche, digestive, anti diabetiche, antibatteriche, antivirali, antifungine, anti parassitarie, antiaterosclerotiche, antipertensive, ecc.
I risultati di una ricerca su ratti ha dimostrato che l’estratto idroalcolico della radice potrebbe migliorare gli squilibri metabolici relativi al diabete come iperglicemia e dislipidemia; la quantità di insulina nel plasma non viene modificata né in ratti sani né in quelli diabetici, il che fa pensare ad un meccanismo che è indipendente dalla secrezione di insulina. Un estratto del cappero è stato valutato in un trial clinico randomizzato in cui 54 pazienti con diabete di tipo 2 in terapia antidiabetica sono stati trattati con placebo o 1200 mg di estratto al giorno per due mesi: gli autori hanno concluso che tale estratto potrebbe essere utilizzato come agente coadiuvante per il trattamento di pazienti diabetici ottenendo un effetto anti-iperglicemico ed anti-ipertrigliceridemico; sono stati inoltre valutati la funzione renale ed epatica concludendo che l’estratto è sicuro. Un recentissimo studio pubblicato a febbraio di quest’anno suggerisce che l’estratto del cappero potrebbe essere impiegato e studiato per il suo utilizzo nel trattamento di disturbi cognitivi.
Sono stati determinati gli effetti antinfiammatori dei flavonoidi dei frutti di cappero: quelli più potenti risultano la isoginkgetina e la ginkgetina (presenti anche nelle foglie del Ginkgo biloba), i quali hanno mostrato effetti inibitori l’NF-kB; soprattutto la ginkgetina è stata considerata talmente potente da essere degna di studi in vivo in quanto sembra avere varie funzioni biologiche, tra cui anti-infiammatorio, antimicotico, anti-influenzale, stimolante della differenziazione degli osteoblasti, neuroprotettivo e antitumorale, in modo particolare in determinati cancri alla prostata. Il cappero ha anche un’attività anti complemento più efficiente dell’eparina e presenta una minore attività anticoagulante: la molecola responsabile di questa attività è il derivato solfato dell’omogalatturonano presente nei frutti. Potrebbe avere inoltre proprietà condroprotettive e antidegenerative, mentre le parti aeree hanno proprietà antimicrobiche (probabilmente dovuta alla capparisina) e antifungine.
La stachidrina è una molecola conosciuta quale maggior costituente di varie specie di Leonorus, genere molto utilizzato nella medicina tradizionale: questa sostanza ha una potente efficacia nel promuovere la circolazione sanguigna e nel contrastare la stasi venosa; sembra inoltre avere proprietà antimetastatiche in linee cellulari di cancro alla prostata.
Molti prodotti, contenenti anche il cappero, sono attivi nel miglioramento di danni al fegato, dalla cirrosi alle intossicazioni, alle epatiti virali. I cappaprenoli, presenti principalmente nelle foglie, hanno recentemente mostrato di possedere proprietà antiallergiche e antistaminiche; tale attività è stata confermata anche in uno studio in cui due estratti metanolici liofilizzati di cappero sono stati effettuati a temperatura ambiente e a 60 °C: in quest’ultimo sembra essere coinvolto un meccanismo indiretto (per esempio l’inibizione del rilascio di mediatori dai mastociti o la produzione di metaboliti dell’acido arachidonico), mentre il primo è dotato di proprietà antistaminiche dirette.
C’è anche uno studio interessante che sostiene l’attività anticarcinogenica dell’infuso e dell’olio essenziale del cappero.
Infine, il cappero potrebbe servire nell’industria cosmetica ed infatti in passato si utilizzava una crema a base di cappero per curare le rughe e dare un bel colorito alla pelle; oggi si stanno studiando formulazioni, in cui è compreso il cappero, per il potenziale antiaging degli acidi fenolici e dei flavonoidi che potrebbero rallentare il fotoinvecchiamento.
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