Erboristeria Milardo

crocus

La spezia più preziosa.

Introduzione

L’origine della parola zafferano desta molti dubbi: probabilmente deriva dalla parola araba “Za‘farân” (dall’aggettivo asfar, “giallo”) o dal latino medievale “safranum” da cui proviene la parola inglese “saffron”.

Crocus (dal greco krokos, filamento) sativus L. (dal latino “pronto alla semina”) è la pianta dalla quale si ricava il prezioso zafferano, parola per cui si intende: “gli stigmi di C. sativus L. essiccati, di colore rosso scuro, a forma di tromba, seghettati o dentellati all’estremità distale, dalla lunghezza compresa tra 20 e 40 mm, isolati o uniti a due o a tre alla fine della porzione dello stilo, di colore bianco/giallo ” (ISO, 2003). Tale definizione è importante per la confusione che è stata fatta in passato: nella letteratura post islamica e in alcuni dizionari e libri iraniani il termine per indicare la pianta era lo stesso che indicava la droga. Essa è stata utilizzata nei millenni per svariati usi: colorante, medicamento, spezia, profumo. Conosciuta dai popoli antichi di tutto il globo, è la più costosa spezia al mondo non solo per la potenza aromatica e la colorazione degli stimmi secchi, ma anche per le qualità medicinali e per la faticosa lavorazione che richiede: per produrre un chilogrammo di stimmi di zafferano sono necessari centomila fiori.

Caratteristiche botaniche

Lo zafferano è una pianta geofita erbacea perenne di 10-30 cm di altezza che si propaga per via vegetativa; ha il bulbo arrotondato a base appiattita, rivestito da tuniche reticolate, fibrose, strette, prolungate ad avvolgere gli scapi fiorali in forma di guaine membranose. Appartiene alla grande famiglia delle Iridacee e al genere Crocus, comprendente circa 80 specie distribuite principalmente nel Mediterraneo e nell’Asia sud-occidentale. I bulbi hanno uno o due germogli principali nella posizione apicale e circa (a seconda della dimensione) 4-5 o più germogli secondari, disposti irregolarmente in forma spiralata. Le foglie (da 6 a 9) sono quasi lineari, strette 5 mm e lunghe, con portamento erboso e di colore verde scuro; internamente solcate, cigliate ai margini, subeguali ai fiori durante la fioritura, mentre in seguito si allungano fino a raggiungere i 30 cm. I fiori sono ermafroditi nel numero di uno o due per ogni scapo, con perigonio violaceo, a fauce barbata, costituito da tepali oblungo-ottusi e da un tubo lungo, 3 stami, ovario infero, concresciuto alla base con il tubo perigoniale, stilo lungo, diviso in 3 stigmi lunghi almeno quanto la corolla; il frutto è una cassula a 3 logge. È una specie sconosciuta in ambiente naturale; molto curiosa è la differenziazione della specie sativus che avvenne per mano degli agricoltori: si realizzò una laboriosa selezione artificiale, motivo per cui ne risultò una specie sterile il cui scopo fu di favorire lo sviluppo di piante caratterizzate dalla produzione di stimmi di maggiori dimensioni. Il precursore fu probabilmente il Crocus cartwrightianus, ma non si hanno dati certi. Per lungo tempo gli agricoltori ne hanno trascurato la coltivazione in quanto considerata una coltura minore e utilizzata per la diversificazione agricola.
Negli ultimi anni sta acquisendo un ruolo notevole nei sistemi agricoli a basso consumo e come coltivazione alternativa; è una coltura molto interessante anche per l’agricoltura biologica, considerando che non si applicano irrigazioni, fertilizzazioni o trattamenti di natura chimica. Le tecniche di gestione più importanti come la piantagione del bulbo, la messa a dimora, la raccolta e la separazione dello stigma vengono eseguiti manualmente e questo contribuisce all’innalzamento del prezzo. La limitazione edafica più importante è il drenaggio, dato che la formazione di pozzanghere è dannosa.

Storia e tradizione

In Medio Oriente, tra il Tigri e l’Eufrate dove è emersa la prima civiltà conosciuta, lo zafferano è stato usato come medicina nella Mezzaluna Fertile. Assiri e Babilonesi (II° millennio A.C.) usavano lo zafferano per trattare la dispnea, mestruazioni, problemi alla testa e relativi alla minzione. Nell’antico Egitto veniva importato da Creta e uno dei principali usi era quello medicinale: è anche menzionato in “Papyrus Ebers” (antico testo di medicina egiziano) e veniva usato per problemi oculari, mestruali e nel trattamento di alcune patologie del tratto urinario e per indurre il travaglio. Ippocrate (V sec. A.C.), Dioscoride (I sec. A.C.), Erasistrato (III sec. A.C.) e Diocle di Siracusa (III sec. A.C.) utilizzavano lo zafferano per trattare disturbi oculari (come dolore, cataratta, infezioni purulente), dell’orecchio, nei dolori e nelle ulcere (alla pelle, alla bocca ed anche ai genitali) e nella erisipela. Non ci sono abbastanza informazioni per approfondirne la provenienza e i primi usi, ma pare che i campi originari coltivati a zafferano siano stati nei pressi delle montagne di Zagros e Alvand durante il Regno dei Medi (708 – 550 A.C.); in che modo si è cominciato ad utilizzarlo purtroppo non si sa. La prima testimonianza venuta a noi riguardo l’uso dello zafferano fa riferimento a una vecchia dinastia persiana, chiamata “Achemenide”; essi ne utilizzavano 1 Kg al giorno per fare pane, oli profumati per il re, per colorare scarpe e vestiti (Poliem, II sec. D.C.), oppure veniva miscelato con cardamomo e cannella per la preparazione di composti rinfrescanti e rinforzanti.

Furono dunque i persiani i primi a coltivare lo zafferano. L’interesse di quei popoli continua fino ad oggi: l’Iran ne è il principale produttore a livello mondiale (85%) con la maggior parte della produzione ubicata nella regione di Khorasan. Delle 300 tonnellate prodotte ogni anno, il restante viene prodotto tra Spagna, Italia, India, Grecia, Azerbaijan e Marocco. Le principali regioni produttrici sono la Sardegna, l’Abruzzo, la Toscana e l’Umbria.

I medici arabi avevano adottato la dottrina umorale della medicina greca classica, infatti anche nella medicina tradizionale iraniana lo zafferano è considerato Caldo e Secco (come il luogo in cui cresce) proprio come lo considerava Dioscoride (Caldo in secondo grado, Secco in primo). Gli usi tradizionali, che nei secoli si sono estesi in molte popolazioni di tutto il globo, sono spesso sovrapponibili: era utilizzato per regolare il ciclo mestruale e nel dolore all’utero, nelle ulcere, nella diuresi e per rafforzare il corpo e i sensi, era un buon rimedio nelle emorragie, nel mal di testa e per migliorare l’umore; poi era anche usato nell’insonnia, nella congiuntivite, nella cheratite, come cardiotonico e per rafforzate il sistema respiratorio, soprattutto nella pleurite. Inoltre veniva utilizzato come rafforzante per il fegato e per lo stomaco liberandoli dalle ostruzioni; era impiegato anche come afrodisiaco. Solo alcuni di questi numerosi usi tradizionali oggi trovano risposta negli studi clinici.  L’olio di zafferano (miscela di zafferano con olio di oliva o olio di sesamo) è un preparato antico avente proprietà spiccatamente sedative: “riscaldante”, conciliante il sonno, ottimo umettante e lenitivo per uso esterno; si usava metterne un po’ sotto il naso per respirarne l’essenza. La presenza dello zafferano nell’antica Roma (753 AC- 364 DC) è estesa; a scopo medicinale era adoperato per alleviare il fegato dall’eccesso di bile, per curare la tosse e la diafragmite.

Composizione ed usi medicinali

Le ricerche fitochimiche hanno rivelato che il colore è principalmente dovuto ai carotenoidi degradati crocina e crocetina; l’odore deriva dai prodotti di ossidazione dei carotenoidi, principalmente il safranale, mentre il sapore amaro è dovuto alla picrocrocina. Le caratteristiche standard dello zafferano e del metodo di analisi sono state stabilite dalla ISO. (International Standard Organization, cfr. ISO 3632: 1980, p. 9, 1980).

La picrocrocina è una sostanza amara scoperta da Kajser (1884); è presente nella droga in quantità pari al 4%. Si tratta di un glicoside che a causa di un ambiente acido o basico si scinde in una molecola di glucosio e in un aglicone; l’aglicone a sua volta perde una molecola d’acqua trasformandosi in safranale, il quale compone per il 70% la frazione volatile ed è il responsabile principale dell’aroma dello zafferano. In effetti non c’è odore sul prodotto fresco: esso appare durante la fase di asciugatura dall’idrolisi della picrocrocina. Il safranale potrebbe essere utile nel trattamento della bronchite respiratoria, soprattutto cronica5, grazie alla sua estesa distribuzione nei polmoni: pare abbia un considerevole effetto anestetico sui nervi vagali degli alveoli6.

La crocina è il carotenoide glicosidico più importante che conferisce allo zafferano il colore caratteristico; essa, secondo uno studio, pare antagonizzare l’effetto inibitorio dell’etanolo14: ciò spiega il motivo per cui tradizionalmente lo si usava per ridurre l’effetto dell’alcol. E’probabilmente coinvolta anche nel sollievo del dolore dismenorreico in quanto potrebbe ridurre le contrazioni uterine19.

Essa insieme al safranale è stata oggetto di numerose ricerche, dalle quali si è dedotto che essi riducono la ricaptazione della dopamina, della serotonina e della noradrenalina17,18: l’effetto sul sistema nervoso centrale trova finalmente un sostegno. Tali risultati sono stati ulteriormente confermati da Wang et al16: pare che l’effetto antidepressivo di un estratto acquoso di zafferano sia dovuto alla crocina. Similmente, nel modello animale, gli stigmi di C. sativus L. producono effetti ansiolitici e ipnotici. Hosseinzadeh e Noraei hanno dimostrato invece che il safranale può legarsi ad alcuni sottotipi di recettori per le benzodiazepine (BZ1, BZ2, BZ3) e migliorare i fenomeni di insonnia nei topi15. Negli studi clinici, l’uso dell’estratto a dosi di 20-30 mg due volte al giorno per il trattamento della depressione lieve e moderata ha portato a notevoli risultati.
Il trattamento è stato comparato anche con la fluoxetina e l’imipramina risultando efficiente come i farmaci: queste conclusioni peraltro sono coerenti l’unica metanalisi realizzata8. Il suddetto studio, che prende in considerazione cinque studi randomizzati e controllati (n = 2 placebo-controllati, n = 3 antidepressivi controllati), valuta positivamente lo zafferano in ragione dell’effetto, contro il placebo, nel trattamento dei sintomi depressivi. L’utilizzo dello zafferano, in uno studio la cui data di pubblicazione antecede di poco quella di questo articolo, si è mostrato efficace e sicuro persino nella depressione post partum7. Questo studio però ha alcuni limiti da evidenziare: durata breve, mancanza di follow-up a lungo termine, dimensione della popolazione relativamente piccola, l’utilizzo di un solo strumento per misurare la severità della depressione, nessun gruppo placebo.

La picrocrocina sembra avere invece un effetto sedativo sugli spasmi e sui dolori lombari; tuttavia, gli effetti più rilevanti dello zafferano sono stati attribuiti alla crocetina, perché è una sostanza in grado di aumentare la velocità di trasporto dell’ossigeno, sia in vivo che in vitro, motivo per cui diventerebbe utile candidata nel trattamento di varie affezioni come l’aterosclerosi, l’ipossia alveolare, le emorragie, l’artrite, i tumori6.
Sono necessari però studi clinici più grandi e condotti da team di ricerca al di fuori dell’Iran, con follow-up a lungo termine, prima di esporre conclusioni circa l’efficacia e la sicurezza dello zafferano per il trattamento dei sintomi depressivi. Una recentissima rivisitazione sistematica rivela che lo zafferano ha un ruolo importante nella gestione della sindrome metabolica grazie alle sue attività anti-diabetiche, anti-obesità, ipotensive e ipolipidemiche9. In questo articolo di revisione si è discusso riguardo le proprietà benefiche dello zafferano e dei suoi componenti attivi per trattare i diversi componenti della sindrome metabolica e anche riguardo studi più rilevanti sugli animali e sull’uomo circa l’uso di questa pianta in malattie cardiovascolari, con particolare attenzione ai fattori di rischio metabolici. Questa recensione conclude che lo zafferano può essere preso in considerazione come agente preventivo o terapeutico contro la sindrome metabolica. Uno studio del 2009 ha valutato un estratto di zafferano nel trattamento della disfunzione erettile, evidenziando che il numero e la durata degli eventi erettili sono aumentati notevolmente: lo studio è però limitato dalla mancanza di randomizzazione e di controllo, ma comunque non sono stati riportati eventi avversi maggiori10. Un anno dopo un altro studio ha smentito questi dati11.

Adulterazione

Il problema dell’adulterazione racchiude anch’essa una storia millenaria. Le principali adulterazioni sono con: foglie di cardamomo, fiori di arancio, fiori di melagrani, fili di lino tinte in giallo, fili di carne essiccata ed affumicata ed infusi in una tintura di zafferano, il tutto per aumentarne il peso e ridurre il costo.

A volte i fiori di altre piante, in particolare Carthus tinctorius, calendula, arnica e erbe colorate sono miscelati fraudolentemente con gli stigmi genuini. L’aggiunta di coloranti artificiali è il modo più comune di adulterazione: questa violazione nel Medio Evo in Europa poteva essere punita persino con la morte (Safranshou codex).

Sicurezza d’uso.

Le informazioni sulla tossicologia e le segnalazioni di sicurezza sullo zafferano sono incoerenti; tuttavia gli effetti avversi più comuni sono nausea e mal di testa: questi coincidono anche con i dati tradizionali sulla tossicità. In alcuni rapporti, vomito, diarrea e sanguinamento si sono verificati dopo l’ingestione di 2 g di zafferano, anche se gli studi sugli animali ed in vivo hanno mostrato una tossicità molto bassa o addirittura inesistente sia dello zafferano che dei suoi estratti. L’ingestione di 200 e 400 mg di zafferano per 7 giorni ha rilevato lievi cambiamenti nei parametri ematologici e biochimici non considerati comunque clinicamente significativi13. Lo zafferano ha mostrato un certo effetto sulla coagulazione del sangue e sull’aggregazione piastrinica negli studi in vitro e in vivo: è stato considerato però che una settimana di trattamento non ha modificato i livelli plasmatici di fibrinogeno, del fattore VII (come agente coagulante), della proteina C ed S (un agente anticoagulante) ed il tempo di protrombina o PTT. Nel complesso, sembra che le dosi giornaliere fino a 1,5 g di zafferano siano generalmente considerate sicure, dosi di 5 g e superiori potrebbero avere effetti tossici, effetti fatali invece dosi di 20 g. Poiché il dosaggio efficace per il trattamento della depressione (30 mg/die) è molto inferiore a questi livelli riportati ed è relativamente conforme alla quantità di zafferano utilizzato come spezia, il margine di sicurezza sembrerebbe molto ampio15. Sono necessari soprattutto trial più lunghi per aiutare a chiarire la sicurezza a lungo termine dell’uso nella depressione, in quanto nessuno studio è stato superiore a 8 settimane.

Autore: Fabio Milardo

Rivista: l’Erborista n.7 . Mese: settembre 2017

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