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Kava: ritorno al passato?

La Kawa-Kawa (o il “Kawa-Kawa” o più comunemente “Kava”) è una bevanda antica che prende il nome dalla pianta da cui si produce, la cui denominazione botanica è Piper methysticum. Da 3000 anni è “bevanda nazionale” in Polinesia e Melanesia dove riveste un ruolo culturale. Fa parte delle Piperaceae, contiene principalmente kavaina nelle radici che vengono decorticate, essiccate, polverizzate e vendute in tutto il mondo. A piccole dosi da una sensazione di benessere e acuisce le facoltà mentali, a dosi medie appare l’effetto miorilassante su tutti i distretti muscolari tranne quello respiratorio. La kawa non è più disponibile come integratore alimentare in Italia ed anche in altri paesi a causa dei suoi presunti effetti tossici che non sono ancora ben documentati, i suoi effetti terapeutici invece sono confermati persino da uno studio della Cochrane collaboration.
Esistono 200 varietà di Kawa che hanno sia il profilo fitochimico che gli effetti diversi, nel 2002 sono state suddivise in 4 gruppi: il più importante è “Noble” con una lunga sicurezza d’uso come bevanda tradizionale. Ogni cultivar è determinata dalla presenza di sei kavalattoni: kavaina, diidrokavaina, metisticina, diidrometisticina, yangonina, desmetossiyangonina. Un buon canditato è la varietà “borogu” appartenente alla classe “noble”, perché ha un profilo fitochimico ottimale ai fini terapeutici: elevata quantità di kavaina, assenza effetti avversi, effetto rapido. Nell’uso “occidentale invece sono state usate molte varietà che hanno contribuito alla tossicità.
Misurando la variabilità della composizione chimica e della citotossicità in 25 prodotti commerciali a base di Kawa, i risultati rivelano la presenza di un alto livello di variazione della composizione chimica che è riflessa alle differenze di citotossicità osservate per ogni estratto. Difficile è determinare la purezza della droga utilizzata, la varietà, le caratteristiche dell’estratto; nell’estrazione con acqua la titolazione in Kavalattoni è minore, le Flavokavaine (FKV) (sia A che B), che sono citotossiche, sono sotto i limiti rilevabili. L’etanolo invece estrae una quantità maggiore di p.a. ed anche di FKV, 50 volte in più dell’estrazione acquosa. Il solvente è la variabile più influente nel modificare la composizione chimica.
Uno studio della Cochrane collaboration, una specie di ISTAT internazionale che diffondo i dati sulla sicurezza ed efficienza degli interventi in campo medico per che non lo sa, conferma l’efficacia dell’estratto di Kawa sui disturbi dell’ansia, considerando peraltro gli importanti effetti collaterali delle benzodiazepine (come la tolleranza al farmaco) che invece non si riscontrano con l’assunzione della Kawa. La  prima revisione sistematica di trials clinici controllati e randomizzati sulla Kawa e sui suoi effetti neuro cognitivi, pubblicata nel 2011, rivela piccole dosi sono efficaci nel migliorare l’attenzione, mentre dosi maggiori e l’uso a lungo termine compromettono le stesse funzioni cognitive. Alcuni ricercatori indicano che può avere effetti benefici sulla “working memory“, un sistema che trattiene temporaneamente un’informazione che manipola e aggiorna, mettendola al servizio di altre operazioni mentali, resistendo alle interferenze.
Questo effetto separa la Kawa dagli ansiolitici convenzionali che potrebbero invece peggiorare alcuni aspetti della cognizione.
La vendita di integratori a base dell’estratto di questa pianta è vietata da molti anni a causa dei presunti effetti tossici, è ancora acquistabile in molti siti internet ma è sconsigliato proprio per le problematiche a cui si andrebbe in contro. Il primo report sull’epatotossicità appare nel 1998 e riguarda due casi in Germania e in Svizzera, in cui la causa più probabile, anche a giudicare dai pochi casi, sembra essere un meccanismo idiosincratico immunologicamente mediato piuttosto che un meccanismo tossico diretto. Il consumo della Kawa aumenta in maniera esponenziale alla fine degli anni 90, con questo diminuisce la qualità della materia prima e aumentano i casi di tossicità fino al 2003 in cui, al seguito di altri casi gravi di tossicità riportati, la Kawa viene vietata nell’unione Europea, in Canada e in Australia.
Due punti sono importanti riguardo la tossicità:

  • non ci sono risultati diretti ben documentati sulla correlazione tra incidenza degli effetti avversi e assunzione della Kawa
  • l’epatotossicità non è riproducibile

La tossicità è purtroppo un argomento complesso che riguarda diversi aspetti:

  • Contaminazione delle materie prime (Ocratossina A, Aflatossine)
  • Gestione post-raccolta
  • Procedure di stoccaggio (essicazione, umidità, temperatura)
  • Tempo balsamico
  • Qualità delle cultivar utilizzate
  • Solventi e solubilizzanti (la Flavokavaina B viene estratta quando si utilizzano solventi come alcohol)
  • Purezza della droga (la parte utilizzata non era decorticata e, inoltre, poteva includere anche fusti, radici avventizie, cortecce, parti aeree)
  • Dosaggio alto
  • Assunzione prolungata
  • Comedicazione
  • Uso di alcohol durante la terapia.

Studi in vitro suggeriscono che i Kavalattoni non sono intrinsecamente citotossici, altri componenti possono esserlo ma a dosi generalmente maggiori di quelle trovate negli integratori. Si auspicano dunque nuovi trials clinici per la reimmissione in commercio dell’estratto di Piper methysticum, superiore, sotto molto aspetti, alle benzodiazepine nei disturbi dell’ansia.

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